La vita ci regala sorprese. Ultimamente, forse più di quanto siamo in grado di abbracciare. Cosa faresti se in
pieno stato di allarme legale ed esistenziale ti assalissero in casa tua?
Nelle ultime settimane, un romanzo che scrissi tre anni fa ha dato seguito a una raffica di e-mail. La trama del
libro (Van Thuan, libero dietro le sbarre) racconta la vera storia di un prigioniero, ingiustamente detenuto, che ha trascorso tredici anni in carcere, nove dei quali in regime di isolamento (inteso come trattamento disumano, solitudine assoluta e senza Wi-Fi: cioè, qualcosa di un po’più restrittivo e doloroso della nostra recente esperienza).
Ho scritto la sua storia solo per un motivo: se un tipo in carne ed ossa è in grado di trasformare la sua prigione nell’anticamera del paradiso, avevo bisogno di sapere come lo aveva fatto e se ciò potesse cambiare la mia vita.
Una volta partorito il romanzo, un movimento spirituale inarrestabile mi ha portato a condividere la storia di Thuan e la mia propria testimonianza di mutazione interna. Molti dei miei interlocutori (e insegnanti di lusso) erano centinaia di prigionieri provenienti da Spagna e America. Non importava che il protagonista fosse vietnamita, o nato nel 1975, perché la sua testimonianza continua a sfidare: più per coloro che, per pura povertà spirituale, sono risvegliati dal desiderio di una vera libertà oltre i propri limiti.
Si capisce che la pandemia che ci ha travolto a livello globale, ci ha costretti a vivere in clausura a casa con la forza: e l’esperienza di Van Thuan brilla come un raggio di luce nell’oscurità.
Ho letto diversi articoli a riguardo, ma non avevo in mente che il libro sarebbe diventato una guida per migliaia di detenuti di diversi paesi e lingue, alcuni dei quali mi hanno chiesto: perché non contribuisci a far conoscere un’anima alla quale hai dedicato nove anni della tua vita?
Lotto tra l’essere allergico alle ricette (anche con un’intenzione molto spirituale) e il profondo desiderio che i poveri e gli assetati possano bere da una sorgente fresca e libera.
Andiamo oltre. Il nostro uomo, Van Thuan, qui non sarà visto alla fine della sua storia: un cardinale della Chiesa cattolica che è morto in odore di santità. Questo è certamente vero, però a me ha sempre interessato l’uomo in carne ed ossa che ha scoperto una libertà interiore che niente e nessuno hanno potuto togliergliela.
Nell’attuale cornice del film (con tratti da thriller) che stiamo vivendo, abbiamo già visto che ci sono molte prigioni non materiali: se ignoriamo per un momento il microrganismo maligno, sperimentiamo come siamo sopraffatti dalle nostre stesse debolezze, contraddizioni, dai desideri insoddisfatti, dalla mancanza di comunicazioni…
Stiamo vivendo un’esperienza in cui difficilmente riusciamo a sfuggire ad un «faccia a faccia» con il nostro interiore più autentico.
Forse gli schermi sono serviti a farci evadere nella virtualità. Tuttavia, poiché viene imposta la distanza sociale e la cura-tutto che sarà il vaccino è offuscata all’orizzonte, la nostra anima rimane più vulnerabile e deve testare le sue convinzioni profonde.
Nel minuto uno dell’arresto di Thuan, si ricorda di un’altra persona che si era trovata in una situazione simile alla sua. Contava i giorni per tornare alla «normalità». Tuttavia, prese una decisione: vivere solo il momento presente riempendolo di Amore. Lo aveva imparato da sua madre, non con corsi di perfezionamento, ma vedendola quando si affidava a Dio nelle gravissime disgrazie subite (Mamma mia, se sapessimo la traccia che il nostro esempio, anche quando chiediamo perdono, dà alla nostra progenie, faremmo salti di gioia per l’opportunità di vivere le ore di avversità con loro, per mano di Dio!).
Il protagonista della nostra storia è la cosa più vicina ad un supereroe. Era di una famiglia importante, con una spettacolare carriera di merito, parlava cinque lingue, si distingueva come leader pieno di carisma, potrebbe essere descritto come un cristiano 10/10 … Il giorno in cui affondò nella miseria più profonda (la palude era disumana) il ridiculum vitae umano e spirituale non gli fu di grande aiuto. Superò l’abisso grazie alla resilienza? No. Aveva un metodo brevettabile per giganti? No. I suoi successi episcopali erculei lo hanno salvato? Nessuno dei due.
Van Thuan aveva bisogno di arrivare alla totale spoliazione, all’estrema nudità (non riusciva a ricordare le parole del «Padre Nostro») persperimentare che restando senza nulla rimaneva solo la possibilità di ricevere tutto da Dio. E l’abbandono assoluto è stato dato a lui nel momento peggiore. Nacque così quella libertà interiore che non dipendeva più dai suoi meriti, né dalle sue circostanze: era abbondanza pura di un Dio d’Amore, Amore inesauribile e immeritato.
Il pedaggio che dovette pagare per quella tortura è difficile da riassumere. Ma proviamoci. Nel cocktail Molotov di una così grave depressione, amplificata all’estremo, ha un dialogo di preghiera con il suo Signore. Il suo più grande dolore è non poter fare nulla per il popolo di cui è pastore: sapere che è perseguito e che, nella sua inattività e prigionia, non può allentarli. Nel profondo della sua anima, sente: «Cosa stavi cercando, le opere di Dio o il Dio delle opere?» Un altro avrebbe mandato l’interlocutore a quel paese: ebbe l’umiltà di riconoscere che i like avevano avuto la meglio sulla vita, sulle sue esigenze ascetiche, persino sui bisogni urgenti degli altri. Non erano cattivi motivi e le sue opere erano state utili, di successo e lodevoli, ma lo avevano cosparso di attivismo, compiacenza, sicurezza nelle sue forze, a volte sviandolo dall’unica cosa importante: la totale fiducia in Dio, che si manifesta maggiormente nella debolezza e che da sempre frutto per pura grazia. Pertanto, la più grande privazione portò anche a una prodigiosa riscoperta della comunione dei santi. Di fatto, come è accaduto anche ai nostri giorni, i monasteri contemplativi erano un punto di riferimento di fecondità per la loro inattività forzata.
La prigionia cambiò completamente da questo incontro con il Crocifisso-Risorto. La trasformazione non fu il risultato di una magnifica formazione dottrinale o di un accumularsi di ragionamenti prodigiosi. Era diventato un testimone innamorato, la cui vita cambiava quelli che attorno a lui, perché si chiedevano: come è possibile perdonare così, sorridere così, fidarsi di un essere superiore così? Trasmise la fede per osmosi, non a colpi di brillanti predicazioni.
Dio lo benedisse con innumerevoli conversioni tra i suoi carcerieri (con i quali spesso non riusciva nemmeno a parlare): l’appestato contagioso, che si abbandonava a Chi tutto può, si rivelò essere un vaccino spirituale con una carica ribollente di anticorpi.
Molti conoscono questo futuro santo dalle armi segrete che gli permisero avere speranza contro ogni speranza: il Rosario era la sua scala quotidiana verso il Cielo (anche solo quando toccava le pareti dell’inferno); e l’Eucaristia, che talvolta celebrava clandestinamente, nel palmo della sua mano, con tre gocce di vino. Questa «medicina» (con tale concetto ottenne il frutto della vite, mimetizzata) alimentò il bottino della sua Anima, rinnovando le sue energie spirituali. Riuscì anche a farsi arrivare delle Ostie nascoste nel falso fondo di una lanterna e con queste adoravano il Santissimo Sacramento nelle baracche di un campo di concentramento, a rischio della loro vita. Tuttavia, come molti missionari, come accade anche nella Chiesa perseguitata, non ha potuto celebrare l’Eucaristia per lunghi periodi. Ma, leggendo di lui, diventa evidente che lui stesso era una comunione spirituale fino in fondo. Vi furono lunghi periodi durante i quali la sua fede doveva crescere insieme alla sua sete sacramentale. Anche la sua vita testimonia come in circostanze eccezionali, il buon Dio sia prodigo di grazie uniche. In ogni momento, la sua anima approfittava delle circostanze reali, non di quelle desiderabili. Nelle sue vene scorreva un sangue con un DNA da martire (generazioni di antenati uccisi dalla fede in Cristo): aveva assimilato la certezza che ogni vita sacrificata diventasse il seme di nuovi cristiani.
All’inizio della sua particolare confessione di fede c’è un atto di eroica obbedienza al Papa. Offrì a Pietro le pene durante tre pontificati. I libri clandestini che scrisse non erano una celebrazione della sua saggezza davanti al Capo della Chiesa, ma un percorso prezioso, tracciato dalle impronte di un figlio fedele che si sa di essere pietra viva del Corpo mistico di Cristo e non il proprietario della sua cattedrale (al massimo, ha agito come un apriporta per lo Spirito Santo). Non temeva il tradimento, la vendetta o la morte stessa perché aveva ricevuto il dono di «ricevere» profondamente il suo ministero sacerdotale: soffriva ogni umiliazione per aver avvicinato le pecore al Pastore e per non macchiare il volto della Chiesa cattolica (universale) rispetto a quelli che lo consideravano l’oppio del popolo o una setta politica-ONG non grata. Affrontò la dolorosa divisione della Chiesa in un regime comunista senza diatribe e senza far volare pugni, ma inoculando una misericordia attratta dalla conversione.
È evidente che la passione può sopraffarmi. Ma ad un certo punto devi bisogna metterci il punto finale. «Diceva sempre che se non fosse stato un prete sarebbe stato un pagliaccio», mi disse una delle sue sorelle. È una gloria benedetta vedere come il suo senso dell’umorismo, combinato con la creatività soprannaturale, abbia reso la sua prigionia un’opera d’arte con firma divina.
In effetti, Van Thuan ha anche attraversato fasi di de-escalation e imparò a vivere con incertezza, dell’aiuto di un Dio che l’aveva tatuato sul palmo della mano. Per questo motivo, questo profeta visse «in modalità confit» con una dolcezza prestata.
Chiedo alla Chiesa che un giorno Van Thuan diventerà il patrono delle prigioni. Ma mentre mia madre parla, e per la fiducia che mi unisce all’intercessore, l’ho autonominato patrono dei nostri confini. Perché, oggi e ora, sappiamo già che un virus letale ha sciolto molti legami personali e sociali altrettanto letali. E abbiamo bisogno di testimoni che Dio esiste e che possiamo incontrarci con Lui che ci salva. Ci stiamo aggrappando a qualsiasi cosa e ci siamo inventando come consolarci a poco prezzo? L’esperienza di Thuan, la mia, quella di migliaia di anime, è che solo quell’amore ci salva. La sofferenza e la morte non hanno senso. Il successo se lo porta via il vento. Possiamo affrontare le valli di lacrime della vita solo se c’è un Padre che ci ha immaginato e creato con il suo respiro materno; un Onnipotente che si è fatto Parola viva e carne mortale per lasciarsi uccidere per noi e per vincere ogni male resuscitando; un bacio di tenerezza che lavora dall’interno, guarendo il Cuore contro il dolore e la schiavitù delle sciocchezze.
Thuan, intercedi per noi in modo che possiamo dire: «Mio Dio, mi abbandono in te a questo momento, ho piena fiducia in te». Così da sperimentare quella libertà interiore piena di gioia e pace che ti ha sostenuto meravigliosamente. Quell’insettuncolo del coronavirus, la quarantena, le varie fasi… saranno opportunità per la crescita interiore nell’unica cosa che conta davvero: riconoscerci amati incondizionatamente ed essere commossi per abbracciare quell’Amore preso in prestito. E, come te, loderemo Dio perché abbiamo ricevuto una abbondanza di doni, di gran lunga superiore al dolore della sofferenza.
Se non mi credi, fa come Thuan. Prendi un rosario e recitalo con il cuore di un mendicante. Non esiste una madre che resista ad un bambino in difficoltà.
Traduzione di Eleonora Riccioni e Roberto Ferrario (grazie tante!)